Una donna sta guidando la sua auto su una strada pianeggiante tra due distese erbose. Alla sua destra compaiono tre cartelloni pubblicitari abbandonati. L’auto passa oltre, ma subito inchioda e torna indietro. La donna al volante è assorta, si rosicchia un’unghia, si passa una mano sotto il mento: in quei tre grandi spazi vuoti sta vedendo una possibilità. Così inizia il film Tre Manifesti a Ebbing, Missouri.
“Angela Hayes era mia figlia”
Nella scena successiva scopriamo che la protagonista si chiama Mildred Hayes e vuole affittare gli spazi pubblicitari per denunciare pubblicamente lo sceriffo di Ebbing, responsabile secondo lei di aver lasciato senza colpevoli l’omicidio della figlia avvenuto sette mesi prima.
Mildred Hayes è tormentata dal dolore e vuole giustizia per quella figlia violentata e uccisa – anzi stuprata mentre moriva come fa scrivere a caratteri cubitali in uno dei tre manifesti. Più avanti un flashback ci rivela le ultime parole che madre e figlia si sono scambiate, litigando su chi avrebbe usato la macchina per uscire la sera:
Angela: – Spero che mi stuprino per strada.
Mildred: – Spero che ti stuprino per strada anch’io.
È dura sapere che fare
Poichè Mildred usa le parole come fossero armi da fuoco, scrivere la sua accusa sui cartelloni pubblicitari è il suo modo di chiedere giustizia, una giustizia che somiglia molto alla vendetta:
Sceriffo Willoughby: – Io ho un cancro.
Mildred Hayes: – Sì, lo so, lo sanno in molti qui in città.
Sceriffo Willoughby: – E hai messo lo stesso quei manifesti?
Mildred Hayes: – Non avrebbero lo stesso effetto dopo che schiatti.
La possibilità di accusare con le parole invece di farsi giustizia da sé, è l’unica che Mildred riesce a concepire. Tuttavia le parole che sceglie, il tono che usa, il sarcasmo che le fa storcere la bocca mentre le pronuncia rivelano che il mondo dove vive è incapace di vedere nelle parole una possibilità per cambiare le cose:
Mildred Hayes: – Come ti va il business della tortura dei negri?
Poliziotto Dixon: – Il business della tortura degli uomini di colore, vorrai dire.
“Dio non esiste e al mondo non importa del male che ti fanno”
Accanto a una Mildred offesa, capace di prendere a calci i compagni di scuola del figlio che la deridono e a una Mildred disperata che lancia bombe incendiarie contro la centrale di polizia, esiste una Mildred compassionevole che rimette sulle zampe un insetto capovolto; un’amica che soccorre e conforta lo sceriffo terrorizzato da uno sbocco di sangue; una donna che stringe la mano all’ex marito violento e picchiatore affranto dalla morte della figlia; l’essere umano che parla con un cerbiatto comparso ai piedi di uno dei manifesti dove lei stessa ha piantato dei fiori.
Questa Mildred è invisibile agli occhi di una comunità che non ha occhi per amore e compassione e quindi risulta invisibile anche a se stessa, eppure è proprio in quella compassione che Mildred troverà la possibilità di trasformazione.
“La rabbia genera solo altra rabbia”
Mildred intravede una nuova possibilità quando la fidanzata diciannovenne del marito – la classica oca che dei libri legge solo il risguardo della copertina – pronuncia questa frase. È come se davanti a lei scorresse il film della rabbia dei suoi figli che la insultano, del marito che la picchia, del mondo che non le rende giustizia. E nel contempo è come se rivedesse se stessa che ferisce l’uomo innamorato di lei (un nano); mentre insulta la giornalista della televisione locale; quando causa l’incendio nel quale il poliziotto Dixon resta gravemente ustionato; mentre scaglia quelle ultime fatali parole verso la figlia…
“Devi essere carino con lei”
Sono le prime parole gentili che Mildred pronuncia, all’indirizzo del marito riferendosi alla ragazza che lo accompagna. Poi si mette in macchina con Dixon alla volta dello Idowa con lo scopo di andare ad uccidere un uomo che, sebbene non sia l’assassino di Angela, è uno stupratore.
Mildred: – Ehi, Dixon, c’è una cosa che devo dirti. Sono stata io a dare fuoco alla centrale.
Dixon: – Beh, chi altro poteva mai farlo?
Mildred: – Dixon?
Dixon: – Sì?
Mildred: – Sicuro che vuoi farlo?
Dixon: – Uccidere quel tizio? Non proprio. E tu?
Mildred: – Non proprio. Ci rifletteremo strada facendo.
Eccola, finalmente la possibilità di Mildred Hayes: dare spazio alla compassione, interrompere il circuito della rabbia, usare le parole per costruire relazioni e per immaginare che ci siano alternative alla vendetta. Che si possa “agire per”, invece di “reagire a” e rimanere in ostaggio del male che si vuole combattere.