“Io sono uno che…” è la formula con la quale spesso introduciamo il nostro pensiero. Immaginare le alternative, stando così le cose, pare quasi impossibile. Ognuno di noi è come un pittore alle prese con l’autoritratto. Ci mettiamo in posa davanti allo specchio per osservarci e aggiustarci rispetto all’ambiente circostante. Così creiamo il nostro personaggio, che poi qualifichiamo con una serie di aggettivi. Attraverso gli occhi di quel ritratto osserviamo il mondo che passa davanti a noi e ci scruta, oppure ci ignora.
L’idea rassicurante di essere una persona tutta d’un pezzo funziona come un muro di protezione contro il quale si infrangono credenze che non ci piacciono, ideologie che non siamo disposti a sottoscrivere, pensieri scomodi. Immaginare le alternative pare, ancora una volta, impensabile.
La tua zona di comfort è ciò che separa te dalla vita.
L’ho letto su un adesivo incollato al palo di un lampione e non sono completamente d’accordo, tuttavia questa frase mi è utile per cominciare a ragionare su ciò che intendo con “immaginare le alternative”.

Quando pensiamo in termini di dentro e fuori abbiamo imboccato la strada di due sole possibilità: “tutto il bene da una parte e tutto il male dall’altra”. Il bene, spesso, è ciò che ci fa sentire bene e dunque la nostra personale zona di comfort. Il posto della nostra vita dove stiamo bene. Niente da eccepire, finché i confini si mantengono permeabili lasciando passare pensieri altri che creano quel poco di scomodità – un sassolino nella scarpa – che ci fa fermare e agire affinché il fastidio venga risolto.
Ancora per lui le cose erano intere e indiscutibili, e tale era lui stesso.
Così Italo Calvino, assumendo lo sguardo di un ragazzino, descrive Medardo di Terralba – un giovane tutto d’un pezzo – alla vigilia della battaglia in cui un palla di cannone lo trasforma ne Il visconte dimezzato. Colui che torna dalla guerra è un uomo a metà che se ne va in giro a far del male.
Così si potesse dimezzare ogni cosa intera, – disse mio zio coricato bocconi sullo scoglio, carezzando quelle convulse metà di polpo, – così ognuno potesse uscire dalla sua ottusa e ignorante interezza. Ero intero e tutte le cose erano per me naturali e confuse, stupide come l’aria; credevo di veder tutto e non era che la scorza.
Adesso era vivo e dimezzato
Il mezzo visconte nella sua condizione di incompiutezza vede ora ciò che da intero gli era precluso: la complessità, quella scomoda prospettiva, senza la quale le cose appaiono “stupide come l’aria”.
Se mai tu diventerai metà di te stesso, e te lo auguro, ragazzo, capirai cose al di là della comune intelligenza dei cervelli interi. Avrai perso metà di te e del mondo, ma la metà rimasta sarà mille volte più profonda e preziosa. E tu pure vorrai che tutto sia dimezzato e straziato a tua immagine, perché bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ciò che è fatto a brani.
Nella sua condizione di essere dimezzato Medardo comincia intravedere possibilità che da intero gli erano sconosciute. E tuttavia ancora pensa che ciò che è bello, buono e giusto stia solo in ciò che è fatto a brani. Occorre che l’altra sua metà, quella tutta buona, cominci a girare per il mondo e a far danni per eccesso di bontà.
-Delle due metà è peggio la buona della grama, – si cominciava a dire a Pratofungo.
Infine si arriva al duello, il Gramo e il Buono si sfidano:
Ora giacevano riversi, e i sangui che già erano stati uno solo ritornavano a mescolarsi per il prato.
Bendati strettamente insieme i due mezzi visconti vengono riportati in barella al castello per essere curati.
Così mio zio Medardo ritornò uomo intero, né cattivo né buono, un miscuglio di cattiveria e bontà, cioè apparentemente non dissimile da quello ch’era prima di essere dimezzato. Ma aveva l’esperienza dell’una e dell’altra metà rifuse insieme, perciò doveva essere ben saggio. Ebbe una vita felice, molti figli e un giusto governo. Anche la nostra vita mutò in meglio. Forse ci s’aspettava che, tornato intero il visconte, s’aprisse un’epoca di felicità meravigliosa, ma è chiaro che non basta un visconte completo perché diventi completo tutto il mondo.
Il Gramo e il Buono ricongiunti convivono, ma non come se niente fosse stato, bensì con l’esperienza di essere stati dimezzati ed essere tornati uno. Non più un giovane cavaliere baldanzoso tutto d’un pezzo, ma un uomo fatto di brani ricomposti tra loro.
…in questo nostro mondo pieno di responsabilità e fuochi fatui
Immaginare le alternative significa guardarsi allo specchio mostrandosi l’altra guancia: quella del Gramo quando ti senti buono e quella del Buono quando ti pare di essere perfido. E alternare lo sguardo su ciò che sta intorno per poi ricomporre le immagini in un nuovo dipinto. Questo non servirà a salvare il mondo, ma a rendere possibile uno starci sopra in equilibrio.
Io invece, in mezzo a tanto fervore d’interezza, mi sentivo sempre più triste e manchevole. Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane.
L’ essere soltanto giovane lo chiamerei desiderio, anelare altro. Finché siamo giovani e incompleti abbiamo qualcosa verso cui tendere, una frase da aggiungere al nostro personale racconto, il quale apparirà perfetto, compiuto, solo dopo che il tempo di ciascuno di noi sarà terminato.
Tutti ci sentiamo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra. Italo Calvino
E come il Medardo ricomposto dobbiamo sapere, per averne fatto esperienza, che l’altra parte (una moltitudine, invero) esiste e che è necessario darle spazio, interpellandola per capire come agire altrimenti. Prendere dimestichezza con la molteplicità ci apre possibilità di immaginare le alternative e comprendere il pensiero altro.
Perché non c’è nulla di più pericoloso di una persona tutta d’un pezzo che, per mantenere la propria interezza, manda in frantumi il mondo.