Essere triste è diverso da sentirsi triste. La mestizia come stile di vita è il risultato di una scelta, quella di preferire il lato in ombra di ciò che chiamiamo relazione tra noi e gli altri, tra noi e gli accadimenti. Ci si può sentire tristi in molte circostanze, ma non per questo vivere come se non esistesse al mondo nulla per cui valga la pena di spendersi.

Una volta che la tristezza diventa un abito, lo si indossa giorno dopo giorno senza farci troppo caso e così ci ritroviamo come insetti prigionieri di un filo di ragnatela da cui sembra impossibile liberarsi.
Mantieni i tuoi pensieri positivi, perché i tuoi pensieri diventano parole.
Mantieni le tue parole positive, perché le tue parole diventano i tuoi comportamenti.
Ma mantieni i tuoi comportamenti positivi perché i tuoi comportamenti diventano le tue abitudini.
Mantieni le tue abitudini positive, perché le tue abitudini diventano i tuoi valori.
Mantieni i tuoi valori positivi, perché i tuoi valori diventano il tuo destino.
Incontro ogni giorno più di una persona che sembra triste: spalle curve, sguardo basso sul cellulare e passo svogliato. Difficile dire se si senta triste oppure se pensi di esserlo. Quel che mi pare di capire è che più uno si adatta ad avere la tristezza come compagna di vita, più diventa indifferente agli altri.
Mi intristisce l’atteggiamento di chi cerca sempre qualcuno cui dare la colpa, come se fosse impossibile fare altrimenti. Adulti che si comportano come bambini spaventati cui manchi la rassicurazione di una mano ferma dalla quale farsi guidare nelle difficoltà.

sempre con l’indulgenza che si riserva ai bambini
Ancora più amara, però, mi appare la condizione di chi al fianco di una persona triste ci vive. Il triste per scelta (o per pigrizia, o per vizio di educazione) assorbe energie che potrebbero essere utilmente spese per costruire e in cambio restituisce macerie.
Chi pensa che la propria tristezza rappresenti un destino ineluttabile pretende continui risarcimenti da parte di coloro che (praticamente tutti gli altri) appaiono più fortunati, più soddisfatti, più felici. In questo modo ci si fa terreno bruciato intorno e soprattutto si inaridiscono le vite degli altri.

non solo noi stessi, ma anche chi ci sta attorno
Comunicare con la tristezza
Quando la tristezza è diventa una condizione abituale anche il nostro modo di comunicare ne risente. Anteporre difficoltà e ostacoli allo scopo di non fare qualcosa è uno dei tanti comportamenti che tutti siamo in grado di mettere in atto, ma non può essere l’unico.
Fermarci a riflettere su come usiamo le parole, i silenzi e i gesti e persino il modo di vestire per spargere la tristezza intorno a noi ci mostra la trama del tessuto di affetti e relazioni che ci siamo creato intorno.

Uno che si lamenta di tutto si sta comportando come un osservatore ozioso che critichi l’operato altrui: crea disappunto, malumore e attira probabilmente più di una parola scortese.
Provare a fare come se
Prova a fare come se ti importasse di chi sta in piedi davanti a te sull’autobus (e provare a cedere il posto)…o come se la cassiera del supermarket fosse più che un braccio del lettore su cui passa la merce che stai acquistando…Occorre alzare lo sguardo dallo smartphone e interrompere la conversazione con chi è altrove per vedere e parlare con chi hai di fronte in carne e ossa.
Questa è comunicazione: prova trasformare l’indifferenza in interesse – anche se all’inizio ti sembrerà poco spontaneo – e comincerai a farti delle domande sulle altre persone.
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