Ripartire? È una parola, come lo sono progetto, impresa, attività. Parole, appunto, che come tali hanno creato il mondo nel quale abbiamo vissuto fino a un paio di mesi fa. Ma ora, che mondo è questo? Di quali parole abbiamo bisogno per rimettere in movimento l’ingranaggio bruscamente arrestato?

Due anni fa, quando ho iniziato l’impresa di Metodo Colloquio, non avrei immaginato di trovarmi cristallizzata da un incantesimo: niente più viaggi, cinema, teatro, mostre, musei. Intere giornate in casa senza più camminate né passeggiate, ristoranti, giri per negozi, parrucchiere né manicure. A chi me lo avesse predetto (una cartomante?) avrei chiesto se nel mio futuro ci sarebbe stata una malattia gravemente debilitante.

“Per tua fortuna no – mi avrebbe risposto – starai benissimo a casa tua, potrai finalmente goderti i tuoi libri, la tua musica, i tuoi film. Potrai dedicarti alla cura di te come non avevi mai fatto prima nella vita”. A quel punto avrei domandato se di lì a poco avrei commesso un reato tale da mandarmi agli arresti domiciliari.
Responsabilità collettiva invece di colpa.
“Nessun reato, però la pena sarà molto dura: non potrai avere ospiti a casa, incontrare gli amici in un qualunque luogo pubblico, frequentare qualsivoglia evento sociale fosse anche una messa. Niente dentista né fisioterapista. Non potrai andare a trovare tua nipote, né lei venire in visita da te e men che meno potrai salire su un aereo e abbracciare quello dei tuoi figli che vive all’estero, ma nemmeno prendere un treno per raggiungere quello che vive in Italia .” Ci sono: si tratta di un colpo di stato!
“Niente del genere – avrebbe proseguito la cartomante – continuerai a leggere il tuo quotidiano facendo colazione; a scrivere quello che ti pare nei messaggi che ti scambierai tramite i social network; a fare liberamente video chiamate. Ma sarai costretta a fare la fila per comprarti da mangiare, mentre per tutto il resto dovrai rivolgerti all’e-commerce. E scordati il mercato rionale!”. Ho capito: una crisi economica epocale!
“Questo le carte non sono in grado di definirlo con precisione – avrebbe sentenziato la veggente- ma qui vedo che si tratta di un’entità microscopica, praticamente invisibile, capace di tenere in scacco l’umanità intera”. Una malattia mentale virale?
Rimettiamo a posto il virus
“Virale, sì. Mentale, no. Una polmonite, qualcosa tipo una brutta influenza”.

E dunque virale non è più un aggettivo per definire un video che totalizza milioni di visualizzazioni su Youtube. E il temibile virus non è più quell’agente informatico che si ingoia i file del tuo computer, bensì qualcosa di simile a quello che cent’anni fa falcidiò la popolazione mondiale: un veleno che si propaga da persona a persona.
Vedersi su, invece di vedersi a
Un virus socievole, dunque, questo COVID 19, a tal punto da rendere noi degli asociali: stare ad almeno un metro di distanza gli uni dagli altri; toccarsi con la punta del gomito (mentre l’incavo serve per starnutirci dentro, ci hanno insegnato) invece di stringersi la mano; coprirsi due terzi del volto con una mascherina; usare guanti monouso nei supermercati e sui mezzi pubblici. E comunque stare in casa in più possibile. Ci si vede, per fortuna, grazie ai mezzi di comunicazione, non di persona.
Quando esco di casa mi mancano le coordinate, mi pare di essere una barchetta in un mare in tempesta. Mi occorre aggiornare la grammatica della comunicazione e non riconosco le persone per strada, del resto anche il mio computer che si avvia con il riconoscimento facciale mi chiede la password di controllo se mi presento con il volto mascherato!
Guardarsi negli occhi
Tieni le distanze, copriti il volto, mettiti i guanti … – sembra l’inizio di un decalogo di buone maniere per signorine del diciannovesimo secolo – cui tra un poco dovremo aggiungere: indossa un cappello (utile per fare la fila sotto il sole e nascondere altresì i disastri da chiusura dei parrucchieri).
Non ci resta che lo sguardo – spesso spaventato, disorientato e diffidente – per incontrare l’altro. E scopriamo che non siamo abituati a guardarci negli occhi, sia per il retaggio di quell’educazione che imponeva soprattutto alle donne di abbassare il proprio, sia perché ce ne manca il coraggio. Timidezza? Viltà? Quale che sia la ragione di tale ritrosia occorre re-imparare subito ad alzare gli occhi dallo schermo dello smartphone e, in generale, a dismettere l’abitudine di fare più cose contemporaneamente.
Cosa ho imparato in queste settimane
Avendo tanto tempo a disposizione ho voluto fare un esperimento: svolgere una sola attività alla volta. È così che ho ridefinito per me il significato del verbo dedicarsi, rendere importanti i gesti, curare i movimenti, cercare l’armonia, godere del tempo e delle occasioni che si vanno manifestando ad ogni istante. Poca cosa, in effetti, di vitale importanza quando il tuo campo d’azione è diventato improvvisamente ristretto. E mi è tornata alla mente una citazione da un film:
Cura i tuoi pensieri, perché diventeranno le tue parole. Cura le tue parole, perché diventeranno le tue azioni. Cura le tue azioni, perché diventeranno le tue abitudini. Cura le tue abitudini perché diventeranno il tuo carattere. Cura il tuo carattere, perché diventerà il tuo destino. Diventiamo ciò che pensiamo.
Amo questo brano perché mi permette di guardare con gratitudine al tempo vuoto che mi è toccato vivere. Il dono, tanto più gradito in quanto inaspettato, di un’occasione unica: ripartire ma non dal punto in cui mi trovavo “prima che il mondo si fermasse per virus”, bensì da molto più lontano, come l’atleta che prende la rincorsa per il salto. Un salto di qualità della vita per cui mi occorrerà riconsiderare le mie vitabilità e trovare nuove parole per abitare in questo vecchio mondo. Il primo passo è fatto, però.
P.S.: Il film in questione è The Iron Lady: Meryl Streep che interpreta Margaret Thatcher,