La seconda volta è peggiore o migliore della prima? Dipende da dove guardiamo camminando. Prendiamo questo secondo lockdown: da qui dove mi trovo, nel cuore di una zona rossa, la sensazione è che non sia andato affatto tutto bene come ci eravamo raccontati mesi fa, quando più o meno da un giorno all’altro ci siamo trovati chiusi in casa.
Questa seconda volta, almeno finora, abbiamo più libertà di movimento, ci sono alcuni negozi aperti e ancora non sembrano essersi formate le file di persone davanti ai supermercati. Dovremmo essere più preparati, quindi capaci di far fronte alla situazione. Eppure tira una brutta aria, come se stessimo cominciando a disperare che verrà mai un giorno in cui le nostre vite torneranno ad essere come prima.
Come prima non lo sarà mai più.
Possiamo raccontarci la storia del ritorno alla normalità, al tempo in cui stavamo bene ed eravamo persino felici ma – stolti – non ce ne rendevamo conto. Quando è stato? Un anno fa, al tempo in cui ancora ignoravamo l’esistenza del virus? Stavamo davvero così bene? La memoria è una prodigiosa narratrice che scova sempre nuove strade per ricondurci là dove vorremmo trovarci ancora, nell’età dell’oro, al tempo in cui la nostra vita era scintillante.
E allora, come la mettiamo con il cambiamento?
A cercare bene, però, anche in quel passato che abbiamo idealizzato troviamo le tracce di un’insoddisfazione, di un rimpianto, di un desiderio, una spinta a modificare qualcosa. Con quanta disinvoltura parlavamo di cambiamento – stolti – e quanto spesso ci siamo illusi che comperare qualcosa avrebbe migliorato la nostra condizione.
E ora che il cambiamento ci ha investito? Siamo tentati di rimanere fermi come certi insetti che si mimetizzano con la superficie su cui sono posati. La raccomandazione di stare in casa ci appare in alcuni momenti come una zattera che, se non ci porterà in salvo, almeno ci terrà a galla fino all’arrivo dei soccorsi. E intanto proviamo a fare le cose di prima in maniera diversa: lavorare in remoto, seguire le lezioni da casa, vedere gli amici su uno schermo e fare acquisti su Internet.
La seconda volta, ce la meritiamo?
Ad alcuni di noi la digitalizzazione accelerata degli ultimi mesi è costata parecchia fatica e credo ci abbia portato un gran beneficio, come accade ogni volta che veniamo spinti a forza fuori dalla nostra zona di comfort. Ma questo è stato solo l’inizio, una sorta di alfabetizzazione di base.
Ora si tratta di capire come vivere in un mondo che mai avremmo immaginato. Ancora mi sorprendo, camminando per strada, di vedere le persone mascherate e – lo ammetto – mi capita di fare il confronto con anni anni lontani, confusi e allarmanti in cui girare con il volto coperto era reato.
La seconda opportunità non è per tutti.
Non tutti ce la faremo a reinventarci la vita, alcuni di noi resteranno chiusi in casa da dove ci si sentirà protetti anche dopo il cessato allarme. L’isolamento potrebbe diventare la cifra del tempo che verrà e non sarebbe una bella prospettiva. Persone arrabbiate, spaventate, sospettose e rancorose chiuse nelle proprie bolle e trincerate dietro uno schermo.
Igiene personale
Di questi tempi mi torna spesso alla mente un bambino che quando era arrabbiato andava a nascondersi sotto il tavolo della cucina con un barattolo di Citrosodina in mano. Là sotto pronunciava tutte parole che gli parevano brutte: pus, scienziato, attrezzo… Terminato l’elenco il bambino si infilava in bocca alcuni grani di Citrosodina, lasciava che si sciogliessero scoppiettando sulla lingua e poi attaccava con la lista delle parole belle: libellula, acqua, silenzio… Quando si era fatto la bocca buona usciva da sotto il tavolo, allegro e sorridente e tornava a giocare.
Prendete la vita con leggerezza, ché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore.Italo Calvino
Potremmo usare questa seconda volta, costretti in casa o limitati nella nostra “libertà” di fare cose e vedere gente, per stilare un elenco di tutto ciò che non ci piace, trovare le parole per dirlo e enumerare i motivi del nostro scontento. Darci un tregua e, alla fine, cercare le parole che ci fanno stare bene e cominciare a usarle per inventarci una storia nuova di cui abbiamo finalmente il ruolo di protagonisti anziché fare da pubblico pagante.