Hikikomori in DAD (Didattica ad Alta Discrezionalità) è la combinazione perfetta tra Desiderio di Apprendimento e giusta Distanza sociale.

Io odio andare a scuola.
Quando l’hanno chiusa per pandemia sono stata la persona più felice dell’universo. Chi avrebbe immaginato che proprio mentre io vomitavo sulla verifica di greco, qualcuno in Cina ingurgitava alimenti contaminati da un pipistrello e che di lì a qualche mese tutto il pianeta sarebbe stato infettato da un virus letale?
È stato grandioso come in una delle mie graphic novel. Distopiche, si capisce. Le disegno di notte ascoltando Bach, le Variazioni Goldberg di Glenn Gould e questa è una delle ragioni per cui la mattina non riesco ad alzarmi; vestirmi è un’impresa titanica; uscire di casa uno sforzo insensato.
Il lockdown è stata la dimostrazione dell’esistenza di un dio degli sfigati, dei sociopatici, dei disadattati.
Un dio zoppo e cieco come Tiresia che qualche volta, ogni tre quattrocento anni, praticamente un battito di ciglia per lui, decide di rovesciare un cassetto sul pavimento e di buttar via le cianfrusaglie. Quelli che se ne sono andati erano tutte brave persone, ma a questo giro la regola non era premiare i giusti, bensì dare una possibilità agli scarti di fabbricazione e ai pezzi unici venuti difettosi. La mia possibilità è stata avere la scuola in camera mia. Un lusso assoluto.
La mia stanza è perfetta per la DAD
PC, web cam, cuffia, microfono, tablet con penna, e-reader, smartphone. La libreria sullo sfondo è degna di un amministratore delegato e l’illuminazione farebbe invidia a Kim Kardashian, tant’è che sembro bella persino io.
Qualche minuto prima dell’ora stabilita indosso una camicia bianca (in realtà è la tunica con cui mia nonna avrebbe voluto essere cremata) e un cerchietto rosso fuoco come quello che recentemente Amanda Gorman ha imposto all’attenzione del mondo durante la cerimonia di insediamento di Biden alla Casa Bianca.
È molto istruttivo osservare l’ordine e il modo con cui i miei compagni appaiono sul video:
stropicciati, in pigiama, il cappuccio della felpa alzato, qualcuno con lo sfondo della pila di piatti sporchi della sera prima. Madri in vestaglia che passano come meteoriti; padri in smart working che urlano in un’altra stanza; fratellini che irrompono davanti al monitor per fare ciao. In mezzo a tutto questo casino io sono come la regina dei ghiacci: sola, silenziosa, bianca in uno spazio bianco.
Che sollievo stare scalza! Sono diventata molto abile nel passare una pallina dura tutta spuntoni da un alluce all’altro per tenere a bada il mio disturbo di attenzione, quello per cui alle elementari mi hanno appioppato una maestra di sostegno, una vecchia signora con i capelli bianchi cortissimi, fissata con il metodo Montessori che aveva ricamato una tavola pitagorica a punto croce. Srotolava il tappeto di iuta sul pavimento dell’aula dei cretini, mi faceva togliere le scarpe e giocare al mondo. È così che ho imparato le quattro operazioni e le tabelline.
Ci si può fidare di insegnanti che ordinino di “mutare i microfoni”?
Mentre gli altri ragazzi stanno a perdere tempo simulando problemi di connessione io produco in tempo reale mappe interattive multilingue con collegamenti ipertestuali, animazioni, e geolocalizzazioni. Adesso c’è la fila di quelli che vogliono lavorare in gruppo con me e – occorre specificarlo? – sono gli stessi e le stesse che hanno giocato a rugby nel corridoio con il mio zaino e hanno tagliato a striscioline i miei vestiti nello spogliatoio della palestra. Gli passo una copia semplificata delle mie presentazioni che continuo a perfezionare per conto mio. Mi sto organizzando per venderle a quelli dell’ultimo anno per la tesi di maturità.
Con la DAD ho smesso di vomitare, però la mia dieta continua a essere fatta di patate – patate bollite, patate al forno, jack potatoes, gnocchi di patate, smashed potatoes, purè di patate americane, patate fritte ma solo se tagliate sottili a spirale e solo la domenica – e mele – granny smith, fuji, kanzi, ambrosia e renette ma solo cotte e con la cannella. Patate e mele erano gli unici cibi che il mio stomaco riusciva a trattenere.
Io non sono anoressica né bulimica, non ho bisogno di mettermi le dita in gola, semplicemente rigetto. C’è un cespuglio dietro la scuola che concimo con i sottoprodotti della mia digestione: stiamo bene entrambe.
Ieri mia madre mi ha lasciato sul vassoio davanti alla porta – non vado a tavola, sembra di stare sul banco degli imputati: dove abbiamo sbagliato per avere una figlia così? – con una ciotola di riso venere e le bacchette; a questo punto posso ampliare un po’ la mia dieta.
Sono una ragazza molto fortunata
perché la mia stanza ha un bagno e nel bagno c’è anche una lavatrice per cui, a parte la faccenda del cibo, sono autonoma. Ho anche un balconcino con una collezione di piante grasse, un tapis roulant, una spalliera da palestra come testata del letto e un bollitore elettrico. È tutto perfetto, potrei prendere il COVID e nessuno se ne accorgerebbe, né correrei il rischio di contagiare le persone della mia famiglia.
Si dice in giro che sia una hikikomori (letteralmente una che si mette da parte) ma la definizione non mi si adatta.
Provate a ricercare con Google le immagini delle stanze dei miei coetanei (giapponesi per lo più) sociopatici e vedrete orrende tane di accumulatori compulsivi. La mia camera è l’opposto e di giapponese ha l’essenzialità. Dormo su un tatami e mangio su un tavolino basso, seduta per terra. Cambio l’aria più volte al giorno e faccio regolarmente le pulizie. Posseggo due paia di pantaloni, due di leggins, due felpe, tre camicie oxford, quattro T shirt bianche, due pigiama, tre reggiseni, tre paia di mutande e tre di calzini. Un parka, un paio di sneaker, uno di anfibi e uno zaino di tela cerata. Ho persino un vestito di viscosa blu con i fiorellini gialli. Compro tutto dal sito di Uniqlo usando i soldi che i compagni di scuola mi versano per le presentazioni.
Chiusa la scuola il mio profitto scolastico si è impennato.
Non sono pochi i professori che guardano con sospetto al mio miglioramento, pensano che io faccia chissà quali magheggi, per questa ragione intervengo pochissimo e solo se interpellata e non condivido i miei materiali se non è strettamente richiesto. Per nessuna ragione al mondo, quindi, renderei pubblica la mia foresta delle parole, un disegno di tre metri per quattro su cui sto inserendo parole delle lingue moderne a partire dalle radici indeuropee – vorrei farne un trompe l’oeil ma mi occorre una parete adeguata, forse tra qualche anno prenderò un loft – per il momento mi sta servendo per imparare a tradurre dal greco. E per non vomitarci più sopra.
Oltre alle graphic novel e alla foresta delle parole sto lavorando a telaio un arazzo mandala della Divina Commedia perché la terzina dantesca ha un ritmo perfetto per la tessitura. Se lo si sapesse in giro direbbero che non sono normale.
La domanda è: cos’è “normale”? E “a che serve essere normale?” Qual è il punto di vista? A me pare normale che le persone stiano chiuse in casa.
Per una volta la realtà mi viene incontro e io mi sento perfettamente centrata.
DAD per me significa Dimensione Altamente Desiderabile per questo vorrei che la scuola non riaprisse mai più. Probabilmente riuscirò ad arrivare alla fine di quest’anno (e così il ginnasio lo avrò archiviato) senza mettere piede in aula e pazienza per il cespuglio che resterà senza concime.
Per il futuro conto di sottoporre al consiglio d’istituto la richiesta di dispensarmi dalle lezioni in presenza e se rifiuteranno mi ritirerò e farò gli esami da privatista. Da qui dove sono posso accedere a tutti i documenti, i testi, le fonti di cui ho bisogno. Esistono tutorial, podcast, corsi…che bisogno c’è che mi trascini fino al banco? Che beneficio può ricavare la mia formazione culturale e umana dalla frequentazione di bulli&pupe?
Quest’anno due terzi degli adulti amici dei miei genitori hanno lavorato da casa e scommetterei che alcuni di loro ci hanno preso gusto.
Io sono il futuro
e non perché ho quindici anni, ma perché sono una OGM: il secondo e il terzo dito di entrambe i miei piedi sono uniti alla base. Io sono un esemplare dell’evoluzione della specie e per una volta mi trovo al passo con i tempi. I miei disturbi dell’apprendimento e i miei bisogni educativi speciali sono stati esercizi di riscaldamento, da qui in avanti si giocherà sul serio.
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