
Nè per giovani, né per vecchi. Per chi è allora questo luogo in cui ci troviamo a vivere?
Spesso si cita il titolo di un film di alcuni anni fa per indicare l’inospitalità di un certo paese (il nostro, ma potrebbe valere ovunque) verso una categoria di persone: i vecchi, i giovani, le donne, i bambini… Passiamo come ombre sulla parete di una caverna dove sono incisi i titoli di temi che appaiono grandi in questo momento. Guerra, crisi energetica, pandemia. Il nostro tempo ci sta fornendo una vasta scelta di emergenze su cui esercitare il nostro senso di inadeguatezza.
A chi giova?
Ci deve essere un errore di prospettiva nel pensare che il mondo che ci circonda sia ostile. Capitano giornate in cui sembra che ogni evento sia puntato contro di noi come un freccia al neon che indica la vittima designata su cui scaricare disguidi, incomprensioni, villanie e sopraffazioni. Al mondo però non importa affatto di noi e, bisogna ammetterlo, sentirsi invisibili risulta persino peggio che considerarsi vittime.

Trovare un nemico, qualcosa o qualcuno a cui attribuire la causa del nostro malessere fa da valvola di sfogo e funziona bene, a giudicare dal malumore generalizzato e dal mugugno inconcludente che ci circonda come la musica da ascensore. Ragionando per categorie ci creaiamo il nostro prontuario delle cause avverse da cui far derivare grappoli di malesseri e malfunzionamenti.
“I vecchi che non si fanno da parte rubano il lavoro ai giovani”
Questo enunciato elementare si presta bene a infinite declinazione. Sostituiamo “vecchi” con “extracomunitari”; “giovani” con “italiani”e il risultato non cambia. Otterremo sempre una contrapposizione tra due categorie nemiche, perdendo di vista il punto centrale che potrebe essere, per esempio, la scarsità di posti di lavoro.

Si suddividono le persone in categorie per gruppi omogenei. Nel marketing questi raggruppamenti vengono definiti target, vale a dire bersagli, su cui mirare le campagne usando slogan semplici ed efficaci. Usando correntemente un lessico di guerra strutturiamo il nostro pensiero intorno all’idea di doverci contrapporci sempre e comunque. Investimo le nostre energie in ragionamenti semplicistici che ci distraggono dalla comprensione delle persone e delle situazioni. Quanto spesso, tra le centinaia di volte che consultimo il nostro smartphone come un oracolo, ci dimentichiamo cosa stiamo cercando? In quante occasioni saltando tra il passato e il futuro ci scordiamo di dove ci troviamo e con chi?
Ho un sogno
Sogno un luogo che non sia né per giovani né per vecchi, dove il tempo sia ciclico come le stagioni, dove i saperi passino di mano e ciascuno possa aggiungere tasselli di vita. Un luogo dove il conflitto generazionale (ma anche quello sociale, razziale, poilitico…) sia un confronto anche aspro, tra persone che si stanno guardando negli occhi e non una guerra in cui ci si scagliano addosso parole di cui si ignora il valore. Un mondo in cui il lavoro sia un’opportunità per vivere con pienezza e non una dannazione sia per chi ce l’ha che per chi ne è privo.
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