Chi sono è un buon titolo per il menu di un sito web, come incipit per una presentazione, invece, suona ostico. Meglio sarebbe un Cosa faccio che però, lo si nota a colpo d’occhio, non funziona come titolo.
Ho proposto questo dilemma di comunicazione in un laboratorio di Metodo Colloquio. Il risultato è l’intervista che puoi leggere qui di seguito.
Cosa fa un consulente di comunicazione?
Si dedica al modo in cui le persone si scambiano pensieri, emozioni, esperienze.
Comunicare è un lavoro?
Prima di tutto è un’attitudine. Se da piccolo stavi ad ascoltare i discorsi dei grandi, ne scimmiottavi i gesti e le espressioni e poi facevi le prove davanti allo specchio è probabile che tu abbia una inclinazione a studiare come si comunica.
E dove si impara a comunicare? Tu che studi hai fatto?
Per certi versi comunicare è simile a camminare, lo impari per imitazione perché è necessario per stare al mondo. Poi, certo, vai a scuola.
Io ho frequentato il Liceo Classico e poi mi sono laureata in Lingue Straniere scegliendo una tesi su comunicazione e pubblicità.
Quindi avevi le idee chiare fin dall’inizio?
Non esattamente. Direi piuttosto che ho circoscritto un campo nel quale ho cominciato a lavorare cercando di cogliere di volta in volta le opportunità che mi sembravano più utili. Tieni presente che quando sono entrata per la prima volta in un’agenzia di comunicazione, a metà degli anni ’80, i computer li usavano in pochissimi. A me, junior copywriter, avevano assegnato una piccola macchina per scrivere elettrica. Per correggere gli errori usavo il bianchetto.
Il mondo del lavoro e il modo di comunicare sono molto cambiati in questi trent’anni.
Certamente. Alcune competenze però restano. Penso al modo di scrivere che ho appreso facendo direct marketing: non è molto distante dallo stile che si usa per i siti web e i blog.
Hai scritto testi per dei siti?
Sì, anche. Tra l’altro uno di questi l’ho fatto per il bed and breakfast che ho aperto a Milano un anno prima di Expo.
Un’attività che ha poco a che fare con la comunicazione, no?
Al contrario. Occorrono parecchie abilità di comunicazione per ospitare a casa tua delle persone che non hai mai incontrato prima, che spesso parlano un’altra lingua e hanno anche una gestualità diversa dalla tua, per non parlare delle abitudini alimentari.
Quindi l’esperienza diretta sul campo è un tuo punto distintivo?
Direi piuttosto che “esperienza” è poter ragionare con altri delle cose che ti accadono per ricavarne qualcosa di utile.
E come si fa? C’è un metodo?
Credo ci siano tanti modi. Io ne propongo uno che usa le narrazioni. Scambiare storie – realmente accadute, film, racconti ascoltati da altri, libri letti, conversazioni casuali – è un’occasione per parlare di ciò che ti sta più a cuore: te stesso, e per comprendere come stare bene con gli altri e nel mondo.
Come mai ha scelto di chiamarlo Metodo Colloquio?
Il colloquio è l’attività di scambiare attraverso le parole, il metodo invece è il come ciò avviene. Metodo Colloquio funziona come un laboratorio dove parole, gesti, silenzi, vengono prima guardati “al microscopio” e poi combinati in modi differenti per vedere come agiscono e interagiscono fino a raggiungere l’effetto desiderato.
Un laboratorio chimico di comunicazione?
Lo vedo piuttosto come una sartoria dove ognuno può farsi il suo vestito su misura. E non intendo solo una questione di taglia, ma anche di stile. Ecco, sì, Metodo Colloquio è un laboratorio dove apprendi come scegliere il tuo stile di comunicare.